Corso di estetica della musica a.s.2011 Prof.Andrea Clemente Potami

mercoledì 9 febbraio 2011

Hanslick e il formalismo



Nell'ambito del movimento romantico, pur nella grande varietà di atteggiamenti e di concezioni, sostanzialmente vi era stata una totale convergenza sui problemi di fondo; nessuna voce veramente discorde s'era levata, capace di opporsi alla concezione della musica dominante da oltre mezzo secolo. E' vero che già in Hegel, in Schopenhauer, e in altri pensatori si possono individuare germi tali che, sviluppati, avrebbero potuto condurre ad una concezione formalistica e intellettualistica della musica, ma bisognava giungere sino alla metà dell'Ottocento con Eduard Hanslick, perché questi germi si sviluppassero e si concretassero in un pensiero coerente; siamo ormai all'inizio della parabola conclusiva dell'esperienza romantica. Wagner con la sua opera di musicista, con il suo pensiero, resta a simboleggiare il culmine, ma anche tutta la residua morbosità, stanchezza e malattia dell'ultimo romanticismo, come ha messo bene in luce Nietzsche tra i motivi del suo disaccordo con Wagner. Hanslick sta a rappresentare l'anti-Wagner per eccellenza, la prima violenta e radicale reazione al romanticismo, alla concezione della musica come espressione di sentimenti o di qualsiasi altro contenuto.
Nella prima metà dell'Ottocento le fonti del pensiero musicale sono state quanto mai varie; si è ricorso a testi di filosofi, letterati, musicisti, romanzieri, critici, ecc. Se qualcosa poteva accomunare tra loro queste diverse categorie di persone era forse proprio il fatto che nessuna di esse esercitava la professione di musicologo, per usare una parola non ancora coniata in quei tempi; insomma una caratteristica delle concezioni della musica di questo periodo era il loro
nascere un po' casualmente, come appendice ad altre attività di pensiero. Di qui il carattere un po' dilettantesco, impreciso, estemporaneo di una parte della letteratura musicale della prima metà dell'Ottocento.

La personalità di Hanslick presenta, già nei dati biografici esteriori, qualcosa di nuovo e di diverso rispetto ai suoi immediati predecessori. Nato a Praga nel 1825, fu un critico musicale di professione. Collaboratore della« Wiener Zeitung» e poi della «Neue Freie Presse», esercitò tutta la vita la critica militante; non solo, ma scrisse numerosi volumi relativi a problemi di storia della musica, tra cui nel 1854 il suo celebre saggio Il bello musicale, e molto piti tardi una monumentale storia dell'opera; nel frattempo fu nominato professore all'università di Vienna di estetica e di storia della musica. Questi dati, in sé prh;~i di importanza, ci permettono però di cogliere un fatto molto importante: l'angolo visuale da cui si osservano i problemi della musica è mutato; si potrebbe dire, ma non in senso negativo, che Hanslick è affetto dalle deformazioni professionali. In altre parole Hanslick parla di musica da competente e profondo conoscitore di tutti i suoi problemi, e questo fatto è già di per sé sufficiente a dare ai suoi scritti un tono completamente diverso; non piti l'atteggiamento letterario, l'entusiasmo un po' retorico e ingenuo di chi vi si accosta dal di fuori, il linguaggio metaforico e fantasioso. In Hanslick si trova la concisione del tecnico, la freddezza analitica dello studioso, la precisione di linguaggio di chi è solito esaminare problemi ben definiti. Ma il diverso atteggiameno di Hanslick non è addebitabile solamente alla sua professione, che appena allora stava nascendo e sviluppandosi, ma soprattutto alla sua formazione culturale; e qui si entra nel vivo del suo pensiero.
Il saggio Il bello musicale rivela ad una attenta lettura due fonti d'ispirazione, una piu diretta, la filosofia di Herbart, L: una piti indiretta, ma forse piti importante, cioè La critica del giudizio di Kant. La filosofia e l'estetica di Herbart rappresentarono la prima reazione all'idealismo romantico di Hegel, Schelling, ecc., ed è nel clima della sua scuola che si è formato il pensiero di Hanslick.

Quando Herbart afferma che l'arte è forma e non più espressione, e che il suo valore consiste nelle relazioni formali presenti all'interno dell'opera, individuabili empiricamente, mentre tutti gli altri contenuti emotivi o sentimentali presenti nell'opera d'arte non devono influenzare il giudizio estetico, fondato unicamente sulla forma, è per concludere che in ogni arte si dovrà cercare solamente quegli elementi formali propri di quell' arte, abbandonando nel giudizio aggettivi come «patetico», «nobile», «grazioso», «solenne », che si richiamano unicamente a generiche emozioni soggettive e non colgono la specificità delle forme artistiche (Introduzione alla filosofia). Questi concetti basilari dell' estetica herbartiana sono stati accolti e rielaborati da Hanslick con maggiore acutezza e sensibilità artistica col proposito di svilupparli per un' estetica musicale.

Perché Il bello musicale come titolo dello snello libretto di Hanslick? Esiste una bellezza specifica della musica, separata dalla categoria universale della bellezza? Già il titolo è dunque fortemente polemico. Contro tutto il movimento romantico che aveva aspirato all'unificazione di tutte le arti, che aveva considerato la bellezza come una categoria dello spirito, presente in misura maggiore o minore in tutte le arti, Hanslick afferma fin dal titolo che esiste una bellezza propria della musica che non s'identifica con gli elementi della bellezza delle altre arti: se Schumann aveva detto che «l'estetica di un' arte è quella dell' altra, soltanto il materiale è diverso », Hanslick ribatte che l'estetica di un' arte è del tutto differente da quella delle altre arti, perché il' materiale è diverso; «le leggi del bello in ogni arte sono inseparabili dalle carattpistiche particolari del suo materiale, della sua tecnica» 1. E chiaro che alla base di questa affermazione sta il concetto fondamentale del pensiero di Hanslick, cioè l'identificazione della musica con la sua tecnica; la tecnica musicale non è piu un mezzo per esprimere sentimenti, per conoscere l'assoluto o suscitare emozioni, ma è la musica stessa e null'altro. Risulta così eliminata ogni tentazione di stabilire delle gerarchie di valore tra le arti: se la musica è autonoma, se ha valore in sé, e non esprime nulla fuori di sé e cosìI d'altronde tutte le altre arti - ogni ricerca estetica in un determinato settore artistico sarà incommensurabile rispetto ad un' altra; nessun' arte potrà piu vantare privilegi perché ognuna possiederà una bellezza sua peculiare. Il primo passo è stato fatto; da questo momento gli ideali romantici incominciano a vacillare; si sono gettate le basi per una nuova estetica della forma e non piu del sentimento.
Il valore dell' opera di Hanslick è soprattutto polemico; la parte destruens prevale nettamente sulla parte construens, come riconosce l'autore stesso; ma è forse questo aspetto che la rende cosi viva e stimolante, e che ha attirato su di essa tante appassionate critiche come esaltazioni inconsiderate.
Il primo bersaglio è, come si è detto, l'estetica del sentimento e in particolare l'estetica wagneriana, che a quei tempi la sintetizzava in modo esemplare; in altre parole è l'estetica musicale romantica che combatte Hanslick, insieme all'estetica dei dilettanti e degli incompetenti (la relazione tuttavia è implicita!) Infatti tutto il suo discorso è animàto da uno spirito di obbiettività scientifica, da un atteggiamento analitico piuttosto che sistematico: «l'indagine del bello se non vuoI diventare affatto illusoria, dovrà avvicinarsi al metodo delle scienze naturali ... », e ancora: «!'impulso verso una conoscenza il piu possibile obbiettiva delle cose, che nella nostra epoca agita tutti i campi del sapere, deve necessariamente toccare anche l'indagine del bello» . Dopo queste premesse, che non rappresentano nulla piu che un atteggiamento polemico, Hanslick entra nel vivo del problema quando afferma che sinora nel campo degli studi musicali si è separato nettamente l'esposizione delle «regole teoricogrammaticali dalle ricerche estetiche», cercando di «mantenere le prime quanto piu possibile aridamente intellettuali, le seconde lirico-sentimentali», e soggiunge ironicamente: «Il porsi chiaramente di fronte alla materia musicale come ad un bello particolare ed a sé stante è risultato finora per l'estetica musicale uno sforzo troppo grave». L'unificazione dei due piani, quello teorico-grammaticale e quello liricosentimentale, può avvenire soltanto rifiutando alla musica qualsiasi contenuto emotivo, qualsiasi potere rappresentativo, qualsiasi rapporto con stati sentimentali. La musica è pura forma e non ha in quanto bellezza alcuno scopo, afferma kantianamente Hanslick; questo non significa tuttavia che la musica non possa essere in un qualche rapporto con i nostri sentimenti e che non susciti in noi nessuna emozione; ma questi effetti sono «secondari», non riguardano il suo valorc artistico. Non si caratterizza estcticamentenessuna arte, e nemmeno la musica, attraverso i suoi effetti sul nostro sentimento: «se dunque si tratta la musica come arte, bisogna riconoscere come sua istanza estetica la fantasia e non il sentimento» . La fantasia è l'organo specifico dell'arte, e attraverso di essa Hanslick vuole superare l'antitesi romantica tra intelletto e sentimento: come organo di produzione e di contemplazione dell'arte tuttavia non è un «campo chiuso»: «di fronte al bello la fantasia non è un puro e semplice contemplare", ma un contemplare , con" intelletto ", e cioè rappresentazione e giudizio»; la fantasia «come trae le sue scintille vitali dalle sensazioni, così manda i suoi raggi all'attività dell'intelletto e del sentimento» .
Alla luce di queste precisazioni Hanslick può ora affrontare il problema fondamentale del contenuto e del significato della musica. Si è già detto che la musica non esprime sentimenti né descrive alcunché; infatti la «determinatezza dei sentimenti non può essere disgiunta da concrete rappresentazioni e concetti, i quali non rientrano nella capacità espressiva della musica» . Quale sarà allora il suo contenuto? Hanslick risponde che le idee espresse dal compositore «sono anzitutto e soprattutto puramente musicali» . Tuttavia la musica è in un particolare rapporto con il nostro mondo emotivo, cioè può rappresentare la «dinamica» dei sentimenti. La musica può «imitare il moto di un processo psichico secondo le sue diverse fasi: presto, adagio, forte, piano, crescendo, diminuendo. Ma il movimento non è che una particolarità del sentimento, non il sentimento stesso» . Sarebbe improprio chiamarla una relazione di rappresentazione; sarebbe piu giusto dire che la musica è in relazione «simbolica» coi sentimenti. La musica può simboleggiare, nella sua autonomia, la forma del sentimento, cioè il suo movimento dinamico, il suo crescere e diminuire, il suo rafforzarsi e addolcirsi, ma nulla piu. Non va confuso pertanto questo concetto con la rappresentazione di sentimenti indeterminati, il che è una contraddizione in termini; ogni attività artistica «consiste nell'individualizzare, nel plasmare il definito dall' indefinito, il particolare dal generale» . La riprova di queste affermazioni si può avere alterando il testo della celebre aria di Gluck «J'ai perdu mon Eurydice ... », da tutti citata come un esempio di espressione musicale di drammatica collera, in «J'ai trouvé mon Eurydice ... » La musica accompagnerà ugualmente bene i due testi opposti, proprio perché in realtà la musica non esprime la collera di Orfeo che ha perduto Euridice, ma null'altro che un movimento rapido e appassionato che può adattarsi altrettanto bene alla collera come ad un'intensa gioia. È naturale che la vera musica, l'unica autentica, quella cui vanno tutte le sue preferenze, è pur sempre quella strumentale. L'opera, come tutta la musica vocale, è un genere ibrido in cui nei casi piu felici finisce per prevalere la musica sul testo. L'opera è sempre l'espressione di un conflitto tra due principi, quello drammatico e quello musicale, che s'intersecano' senza potersi mai fondere; «è la lotta tra il principio dell' esattezza drammatica e quello della bellezza musicale, un incessante concedere all'uno o all'altro». È naturale che abolendo la gerarchizzazione delle arti e quindi qualsiasi interferenza fra esse, Hanslick debba concludere che l'opera è il frutto di un compromesso, come lo attestano le continue polemiche e i tentativi di riforma nella sua storia: dal momento che la bellezza musicale è autonoma la musica si mescola sempre con una certa fatica e artificiosità alle altre arti. Non si può fare a meno a questo proposito di ricordare Schopenhauer, il cui pensiero presenta evidenti analogie con quello di Hanslick, tanto da far pensare che quest'ultimo avesse letto Schopenhauer e se ne fosse ispirato. Già per Schopenhauer la musica non doveva né poteva essere descrittiva, ed egli ne condannava l'ascolto emotivo; non solo, ma quando affermava che la musica ci dà l'in sé del sentimento, in abstracto, cioè la forma del sentimento (il che non significa che ci dia il sentimento secondo una determinazione maggiore o minore) non esprimeva forse il concetto che la musica rappresenta la dinamica, la forma dei nostri sentimenti, come dirà poi più chiaramente Hanslick? Ma questa interessante e indubbia coincidenza tra queste due personalità per altro cosi lontane si limita a questo punto, anche se di importanza notevole; per il resto sitratta di un ben diverso atteggiamento culturale.

Nel terzo capitolo del Bello musicale, la parte piti positiva e costruttiva del volumetto, Hanslick si pone la domanda «di che natura sia il bello musicale». E'un bello «specificamente musicale», risponde tautologicamente; ma subito aggiunge: «lo "specificamente musicale" non è per nulla da intendersi come bellezza puramente acustica o come simmetria proporzionale ... tutte definizioni con le quali di solito si mette in evidenza la mancanza di spiritualità» Il. Con questo chiarimento Hanslick supera l'estetica formalistica di Herbart, secondo cui la forma musicale consisteva unicamente in rapporti acustici verificabili anche matematicamente. Per Hanslick «le forme che i suoni producono non sono vuote, ma riempite; non sono semplici contorni di un vuoto, ma spirito che si plasma interiormente». Il contenuto spirituale viene dunque «postulato come esigenza». Hanslick parlerà di arabesco a proposito della musica, ma alla luce di que~ ste precisazioni è chiaro che si tratta di una metafora, anche se spesso questo termine è stato frainteso con un'interpretazione letterale. Arabesco, dunque, ma pieno di significato e di idee: «nella musica c'è senso e logica, ma "musicali"» . Anche se il primo proposito di un musicista che si mette al lavoro non è quello di rappresentare una passione, ma di inventare una melodia, pertanto le opere rispecchieranno simbolicamente «come immagine totale la individualità dei loro creatori», anche se sono state composte «senza altro [inl: che se stesse, come bellezza autonoma e puramente musicale»". Non si può distinguere tra forma e contenuto nella musica; tutto è forma, lo spirito creatore si deve risolvere totalmente in essa per essere tale; non si distingue bella musica con o senza contenuto spirituale; la forma artistica non è un qualcosa che attende di essere riempito da un altro elemento: le composizioni non si dividono «in bottiglie di Champagne vuote e piene. Lo Champagne musicale ha la caratteristica di crescere con la bottiglia». In questa prospettiva la musica si differenzierà cosi profondamente dalla struttura del linguaggio comune, il quale è un mezzo per l'espressione ed ha un valore strumentale; nel linguaggio il suono è solo un segno per esprimere «qualcosa di completamente estraneo a questo mezzo», mentre nella musica il suono ha importanza di per sé, cioè «è scopo a se stesso». La musica non rimanda mai ad altro da sé, cioè pur essendo significativa esaurisce in sé i suoi significati; tutto ciò che vi è in essa si risolve in musica. Di fronte a questa differenza fondamentale qualsiasi analogia tra musica e linguaggio perde significato. (Quante volte questi concetti verranno ripresi e sviluppati da autori contemporanei, spesso ignari della derivazione del loro pensiero!) La musica è dunque un' arte asemantica nel senso che è intraducibile nel linguaggio ordinario, anche se non è un «gioco vuoto», anche se «pensieri e sentimenti scorrono come sangue nelle vene del bello e ben proporzionato corpo sonoro» .

Tutta una serie di problemi in parte nuovi per l'estetica musicale sorgono ora dal testo di Hanslick. La questione piti importante, lasciata aperta e non del tutto risolta, riguarda il valore della struttura logico-grammaticale della musica; se cioè il complesso di regole che reggono la costruzione musicale sono convenzionali, prodotto storico, soggetto a mutamenti nella storia, o se possiedono una loro natura indipendente dai fattori storici, cioè una loro eterna ed intrinseca razionalità. In una prospettiva rigorosamente formalista si dovrebbe necessariamente concludere in favore della storicità e pluralità delle tecniche musicali. La musica è un'invenzione di forme sempre nuove, in cui s'incarna l'individualità creatrice, e non avrebbe senso che queste forme avessero una struttura preesistente, ed anche se l'avessero sarebbe assurdo pensare che essa potesse avere un qualsiasi significato per il musicista. Questo è infatti il punto di vista predominante nel pensiero di Hanslick, sviluppato in tutte le sue conseguenze. Se le forme musicali sono una invenzione, esse sono un prodotto storico, e come tale soggetto ad invecchiamento ed esaurimento; ecco ciò che scrive Hanslick nella prefazione del suo studio L'opera moderna contro la retorica dell'eternità dell'opera d'arte: «lI celebre assioma secondo cui il "vero bello" (e chi è giudice di questa qualità?) non può perdere mai del suo fascino, neppure dopo lunghissimo tempo, è per la musica poco piu di un bel modo di dire, La musica è come la natura, che ad ogni autunno fa imputridire un mondo pieno di fiori, dal quale nascono nuovi germogli. Ogni composizione musicale è opera umana, prodotto di una determinata individualità, epoca e cultura, e quindi sempre compenetrata di elementi soggetti ad una piu rapida, o piu o meno lenta, mortalità»; analogamente scrive ne Il bello musicale: «non c'è nessun'arte che metta fuori uso tante forme, e cosi presto, come la musica. Modulazioni, cadenze, progressioni d'intervalli, concatenazioni di armonie, si logorano a tal punto in cinquant' anni, anzi in trent'anni, che il musicista di gusto non può piu servirsene ed è costretto a cercare nuovi mezzi musicali» . Questi concetti che sono perfettamente coerenti con tutta l'estetica formalistica di Hanslick, hanno potuto servire a molti critici ancora oggi come base metodologica per l'interpretazione della storia della musica e della sua evoluzione, considerata proprio come un progressivo «consumarsi» di forme e procedimenti tecnici, il che le impone un continuo rinnovamento e ringiovanimento. Coerentemente a questi concetti Hanslick riconosce il carattere d'invenzione e di non necessità ai singoli elementi tecnici della musica: melodia e armonia non hanno modelli in natura e il ritmo musicale è altra cosa da eventuali fenomeni ritmici presenti nella natura: anche l'armonia che sembra possedere un' origine naturale sulla base dei suoni armonici, viene da Hanslick ricondotta ad un'origine storica e culturale. Non esiste dunque nulla di innato, e le leggi non sono naturali ma musicali, per cui ci si deve guardare «dal credere che questo (attuale) sistema musicale sia l'unico naturale e necessario» .
A queste conclusioni cosi chiare e perentorie sulla storicità - da non confondersi, si badi bene, con convenzionalità o artificialità - della tecnica, purtroppo Hanslick non si attiene sempre in modo rigoroso, e qua e là il suo testo è cosparso di affermazioni che lasciano interdetti, come quando parla di «rapporti originari degli elementi musicali» o di «segrete relazioni ed affinità elettive basate su leggi naturali», le quali «dominano il ritmo, la melodia e l'armonia ... e bollano di arbitrio e di bruttezza ogni rapporto che a loro contraddica». Ma si è ancora piu interdetti quando Hans lick avanza l'esigenza di uno studio della «natura di ogni singolo elemento musicale, e del suo rapporto con una determinata impressione» che giunga a stabilire come «fondamento filosofico della musica» quali «necessarie determinazioni spirituali siano collegate con ogni elemento musicale, e in che rapporto stiano reciprocamente», In questi ed altri passi consimili, nettamente in contraddizione con lo spirito e la lettera di tutto il saggio, Hanslick si è molto probabilmente lasciato fuorviare dai primi studi di carattere positivis tico sull' acustica e la fisiologia dei suoni, di musicologi del suo tempo e in particolare di Helmholtz, Q'uesto ultimo mirava appunto, attraverso indagini che sotto la veste del1: assoluta scientificità nascondevano evidentemente precisi presupposti filosofici, a stabilire delle relazioni dirette e necessarie tra elementi musicali e sensazioni emotive, secondo  un rapporto di causa ed effetto. Fuorviare, nel senso che i suoi presupposti filosofici erano opposti a quelli di Helmholtz il quale implicitamente affermava una concezione espressiva e contenutistica della musica; era probabilmente l'atteggiamento analitico e scientifico di tali ricerche ciò che piu attraeva Hanslick.

Schopenhauer e Nietzsche



Schopenhauer e il rapporto tra musica e parola
 La musica prediletta da Schopenhauer come da tutti i romantici è la musica strumentale: essa sola è pura, scevra da qualsiasi me-scolanza e da concetti che turbino la sua limpidezza e l'avvicinino ad altre forme di espressione che non le sono proprie.
La musica non deve prestarsi ad essere piegata al significato delle parole, non deve in altri termini diventare descrittiva;«se si vuoi troppo adattare la musica alle parole, e modellarla sui fatti, essa si sforza a parlare un linguaggio che non è il suo». Con questa presa di posizione Schopenhauer rovescia tutta la tradizione ormai secolare che aveva più volte af-fermato fin dal tempo della nascita del melodramma il predominio della parola sulla musica e quindi la subordinazione di quest'ultima. Pur tenendo fermo il principio della universalità della musica e il suo carattere astratto e formale rispetto ad ogni sentimento determinato ed espresso in concetti, Schopenhauer non nega la possibilità dell'unione tra musica e poesia, che si può anche fondare da un punto di vista metafisico. Infatti è possibile un rapporto tra una composizione musicale e un sentimento od un'altra qualsiasi rappresentazione per il fatto «che l'una e l'altra sono espressioni differentissime della stessa intima essenza del mondo»". Ma la musica deve mantenere intatta la sua dignità e la sua funzione, perciò deve condannarsi ogni proposito imitativo. Se la musica deve esprimere «l'in sé del mondo», un rapporto eventuale con la parola deve configurarsi analogamente al rapporto «che un qualsivoglia esempio può avere col concet-to generale». Su di un piano pratico tutto questo significa che non ci può essere un rapporto fisso e predeterminato tra l'espressione musicale e quella poetica, perché la parola rap-presenta «con la determinatezza della realtà quel che la mu-sica esprime nell'universalità della forma pura». Ad una determinata espressione musicale possono ugualmente bene sottostare testi poetici diversi: è sufficiente che i sentimenti espressi dal testo si adattino nella forma alla musica che ac-compagneranno. Non bisogna dimenticare che la musica non esprime questo o quel determinato sentimento, ma il sentimento in abstracto.
Schopenhauer condanna la musica che scende a patti con la parola, e parimenti condanna l'abitudine di molti ascoltatori che di fronte alla musica pura strumentale, ad una sinfo-nia di Beethoven ad esempio, cercano con la fantasia di rive-stire i sentimenti - che in essa sono espressi soltanto in ab-stracto e senza alcuna specificazione - «di carne e di ossa, ed a vedervi ogni sorta di scene della vita e della natura»16. Questo procedimento non solo non agevola la comprensione della musica, ma è ingannevole, «perciò è meglio compren-derla puramente e nella sua immediatezza».
Il rapporto tradizionale stabilito nel Seicento e nel Sette-cento tra musica e parole è completamente rovesciato: non sarà la musica a sottolineare il valore delle parole, ma la paro-la dovrà docilmente piegarsi all'universalità della musica. Cosi sarebbe forse più conveniente che si creasse un testo poetico per una composizione musicale già esistente, anche se in pratica il più delle volte si crea della musica per un testo preesistente. Ma anche cosi la situazione non cambia: anzi-tutto il testo può agire come stimolo per l'ispirazione del mu-sicista, e la musica ci da rispetto ai sentimenti espressi con le parole «le ultime, più profonde, più intime rivelazioni, e ci fa conoscere la più intima anima dei procedimenti e degli avve-nimenti di cui la scena offre soltanto il corpo e la veste». Però la musica non si assimila mai alla materia, al contenuto, per esempio al dramma in cui opera. Si manterrà sempre un poco estranea, al di sopra, al di là dell'azione scenica, mo-strando una «completa indifferenza» verso di essa. La musi-ca esprimerà in ugual modo l'ira di Achille o l'alterco di una famiglia borghese, «giacché per lei esistono solo le passioni, le affezioni della volontà; ed ella vede, come Dio, solo i cuori".
La concezione della musica di Schopenhauer per la sua ricchezza, profondità e consapevolezza filosofica rappre-senta senza dubbio uno dei punti di arrivo del pensiero romantico; non solo, ma, come si è detto, appare già netta-mente onentata verso un'estetica formalistica. Il principio dell autonomia del linguaggio musicale sviluppato in senso antiromantico da Hanslick pochi decenni più tardi è già im-plicitamente contenuto nell'affermazione che la musica non e in diretto rapporto con i sentimenti, e che non può e non deve suscitare nell'ascoltatore sentimenti determinati.





martedì 8 febbraio 2011

Schelling ed Hegel

Schelling

Tutti i filosofi romantici assegnano alla musica una posizione particolare e anche se non sempre la pongono alla sommità della gerarchia, tuttavia le attribuiscono speciali privilegi. Bisogna aggiungere ancora che le gerarchie delle arti, i «sistemi delle belle arti» nella filosofia romantica hanno un significato assai diverso che nel secolo precedente. Nel Settecento si trattava per lo più di semplici scale di valore in cui ogni arte occupava stabilmente il suo gradino per i suoi meriti, in relazione al fine che si riteneva dovesse realizzare l'arte in generale. Spesso invece nel romanticismo, le varie arti vengono poste in relazione dialettica 1'una rispetto all'altra, per cui si creano tensioni interne, segrete corrispondenze fra arti diversissime e opposizioni destinate a risolversi; non è più cosi semplice stabilire quale arte sia superiore ad un'altra e non sempre la posizione nel sistema e determinante a questo fine. Ogni sistema va attentamente esaminato per poter capire il significato della gerarchizzazione. Per questi motivi è di notevole interesse l'estetica di Schelling per la particolare posizione da lui assegnata alla musica,nel suo complesso e un po' macchinoso sistema delle arti .
L'arte, per Schelling, è rappresentazione dell'infinito nel finito dell'universale nel particolare, oggettivazione dell assoluto nel fenomeno. Le arti allora possono distinguersi a seconda del particolare in cui si oggettiva l'infinito, cioè del finito in cui s'incarna. Si hanno cosi due tipi di arte o due diversi gruppi di arti, l'uno reale, l'altro ideale, a seconda che in essi si manifesti il lato reale, oggettivo, fisico oppure il lato ideale, soggettivo e spirituale; da una parte avremo le arti figurative, dall'altra le arti della parola.
Tra le arti figurative, quelle che presentano «l'aspetto reale del mondo dell'arte» troviamo la musica che forma una triade insieme alla pittura e alla plastica(scultura). Schelling stesso si rende conto del carattere insolito di questo accostamento per niente consono alla tradizione, ma è portato dallo spirito del sistema a questa particolare sistemazione delle arti che rispecchia lo schema generale della sua filosofia. La musica infatti va compresa fra le arti figurative perchè come arte reale è legata alla materialità fisica del suono, figurativo non va qui inteso nel senso di figurare oggetti ma nel senso del riferimento alla materia, a ciò che è figurabile, che si può forgiare.

"la natura sonora" può essere nuovamente posta al gradino più basso; infatti essa è l'arte più fìsica tra le arti fìsiche, è quella che è più direttamente a contatto con la materia inorganica priva di forma, cioè,con il suono. Perciò ci pone a contatto con la natura nel suo aspetto più primordiale e immediato. Ma ad un esame più attento la concezione schellinghiana si rivela più complessa e ambigua. Schelling, individua nella musica tré elementi, ritmo, modulazione, armonia e melodia; ma essi ripetono all'interno della musica la divisione del suo intero sistema, e cioè il ritmo rappresenta l'elemento reale, la modulazione quello ideale e la melodia insieme con l'armonia, la sintesi o l'unità dei due. Ma il ritmo el elemento di gran lunga più importante, tanto che si può dire che «il ritmo è la musica nella musica». Infatti «la forma necessaria della musica è la successione. Perciò il tempo e la forma generale della figurazione dell'infinito nel finito ma in quanto forma è astratta dalla realtà. Il principio del tempo nel soggetto è l'autocoscienza, la quale per l'appunto è 1'immagine dell'unità delle coscienze nella molteplicità, nel ideale». Queste affermazioni mettono in luce caratteri della musica che sembrano essere del tutto in contrasto con quanto si era detto prima. La musica come puro ritmo coglie 1'universo nel suo aspetto più elementare, ma anche come mera forma, per cui se da una parte la musica è l'arte che è più vicina alla materia, dall'altra può dirsi anche l'arte più astratta e spirituale, in quanto riproduce il puro movimento (il ritmo cosmico, il divenire delle cose, l'unità della molteplicità). «La musica - afferma Schelling - è l'arte più lontana dalla corporeità, in quanto ci presenta il puro movimento come tale, prescindendo dagli oggetti e viene trasportata da ali invisibili quasi spirituali». La musica si trova cosi i bilico tra la pura sensibilità e la spiritualità, tra la materia ancora allo stato bruto e la pura forma. Il concetto di temporalità è centrale perché attraverso di esso Schelling può stabilire quel nesso con cui riconduce la musica alla struttura della coscienza; ...infatti il ritmo che rap.........
L'essenza stessa della musica è l'unità nella molteplicità così come la coscienza è il punto d'incontro della molteplicità dei nostri stati d'animo. Tale tema è destinato nell'estetica musicale ad una grande fortuna, e Hegel svilupperà ampiamente ciò che in Schelling è solo uno spunto felice anche se preciso.
Addentrarci più in profondità nell'estetica musicale di Schelling ci porterebbe ad ampliare troppo il discorso date le strette connessioni con tutta la sua filosofia. Ciò che qui premeva indicare è anzitutto il carattere dialettico(unità) del suo sistema delle arti, che permette di collocare la musica in una luce del tutto nuova rispetto alla tradizione e ancora l'accentuazione della dimensione temporale della musica come suo aspetto costitutivo(musica come realtà dialettica e elemento ritmico). La musica, «la forma d'arte in cui l'unità reale come tale si fa potenza e simbolo» è il ritmo stesso dell'universo, reso percepibile proprio grazie alla solidarietà che essa ha con l'animo umano; non per nulla Schelling si richiama a Pitagora e a Leibniz: l'anima infatti può concepirsi come coscienza della successione o della temporalità. La musica in questa complessa dottrina è pertanto concepita come rivelazione dell'Assoluto nel momento della sua genesi, arte doppiamente privilegiata per il suo rapporto originario con le strutture elementari ma essenziali da una parte dell'universo, dall'altra della nostra coscienza.


Hegel

Nella rigida architettura della filosofìa hegeliana anche la musica ha un suo posto ben preciso. Nell'Estetica pubblicata postuma nel 1835, Hegel stabilisce nello sviluppo dell'arte tre tappe fondamentali (arte simbolica, classica, romantica) a cui corrispondono altrettante determinazioni necessarie. Tutta l'arte, come prima tappa dello spirito assoluto verso la sua realizzazione ultima, ha come fine l'espressione dell'Idea, ma nella forma dell'intuizione sensibile. L'arte quindi ha bisogno di un materiale esterno in cui oggettivare il suo contenuto spirituale.
L'architettura, che rappresenta l'arte simbolica, è l'inizio dell'arte. Qui l'arte, «alla sua origine, non trovando per la rappresentazione dell'elemento spirituale che racchiude, nè i materiali adatti, nè la forma corrispondente, deve limitarsi a dei tentativi per raggiungere una effettiva armonia dei due termini, e accontentarsi di un tipo di rappresentazione in cui essi rimangono estranei l'una all'altro. I materiali di questa prima arte sono forniti dalla materia propriamente detta, non animata dallo spirito, ma pesante e foggiata solo secondo le leggi della gravità». L'arte classica, l'arte vera e propria, si manifesta nella scultura. «Il principio basilare che guida le sue rappresentazioni è l'individualità spirituale che costituisce l'ideale classico. Essa lo rappresenta in modo tale che l'elemento interiore o spirituale sia presente e visibile nell'apparenza corporale immanente allo spirito... »nella statuaria greca si rappresenta il divino come umano.
La terza forma di arte, quella romantica, che non rappresenta più l'assoluto in una forma esteriore, ma la cui forma è «la soggettività, l'anima, il sentimento, nella loro infinità e nella loro particolarità finita», si concretizza in tre tipi di arte, tra loro in rapporto dialettico: pittura, musica, poesia.
La pittura manifesta ancora lo spirito per mezzo dell'apparenza visibile, «ma la vera essenza di quest'arte è la soggettività particolare, l'anima distaccata dalla sua esistenza corporale per ripiegarsi su se stessa, la passione e il sentimento in ciò che hanno di più intimo... ».pittura-> puro sentimento.
La musica pur nella stessa sfera della pittura - cioè come arte romantica - tuttavia «è in opposizione con la pittura. Il suo elemento proprio è la stessa interiorità, il sentimento invisibile o senza forma, che non può manifestarsi in una realtà esterna, ma solamente per mezzo di un fenomeno esteriore che scompare rapidamente e si autocancella.(musica-> direttamente espressione del sentimento interiore) Per cui l'anima, lo spirito, nella sua unità immediata, nella sua soggettività, il cuore umano, la pura impressione, tutto ciò costituisce l'essenza stessa di questa arte».
Al vertice di questa gerarchia sta la poesia, «la vera arte dello spirito, quella che manifesta lo spirito in quanto spirito. Infatti tutto ciò che la coscienza concepisce, che elabora con il pensiero nel mondo inferiore dell'anima, solo la parola può ricevere, esprimere e rappresentare. Pertanto ciò che guadagna dal punto di vista delle idee, lo perde dal lato sensibile. In effetti non si rivolge ne ai sensi come le arti plastiche, ne al semplice sentimento come la musica... ».
Il mezzo fisico in cui si esprime, cioè il suono, la parola, «non conserva più il valore di oggetto sensibile, in cui l'idea può trovare la forma più conveniente... Il suono non conserva, più, come nella musica, un valore di per sé, che l'arte debba foggiare come obbiettivo, in cui si esaurisce. Il suono deve essere qui penetrato dall'idea, riempito da un determinato pensiero che esso esprime e deve apparire come semplice segno di questo contenuto».
La poesia si presenta dunque, nel sistema hegeliano, al vertice delle arti, come l'arte più universale, ma proprio per questo in un certo senso non è più arte; rappresenta il primo sintomo della morte dell'arte, un punto di transizione, in cui l'arte incomincia a dissolversi per lasciare il posto alla religione e alla filosofia. Il carattere di maggiore spiritualità della poesia rispetto alle altre arti costituisce allo stesso tempo il suo pregio e il suo difetto, in quanto arriva a negare il suono come elemento sensibile. Si può quindi concludere che, rimanendo nell'ambito dell'arte vera e propria, la musica riesce più d'ogni altra a esprimere l'interiorità nella forma del sentimento soggettivo, in una forma ancora sensibile, il suono. Partendo dall'architettura fino alla musica si ha sempre una maggiore forza espressiva, una sempre maggiore capacità di astrazione e un crescente potere sul sensibile fino ad assoggettare completamente la materia nella musica e a negarla poi nella poesia.
La gerarchizzazione delle arti assume in Hegel un significato del tutto diverso rispetto alla gerarchizzazione in voga nella cultura estetica illuministica, dove ogni arte indipendentemente dalle altre doveva avere un posto a sé, che le veniva assegnato a seconda delle funzioni cui assolveva. Ogni arte sussisteva accanto all'altra in un rapporto di indifferenza reciproca. La gerarchizzazione hegeliana e romantica in genere ha un altro valore: le arti vivono in un continuo rapporto di tensione, tutte convergono verso un punto, in genere rappresentato dalla musica, l'ideale cui aspira ogni arte. Inoltre nella filosofia hegeliana le arti stanno fra loro in un rapporto dialettico: una esclude l'altra, non in un senso storico ma su di un piano ideale e necessario.
Nella struttura generale della filosofia di Hegel, la concezione della musica è dichiaratamente romantica, anche se presenta ancora dei residui illuministici - come ad esempio la predilezione per la musica vocale - che trovano una ragione più nei suoi gusti artistici e nella sua scarsa competenza musicale che in una attitudine speculativa vera e propria. Ma nella sua opera sono presenti anche dei germi, degli spunti che forniranno in futuro motivo d'ispirazione a estetiche molto lontane dal suo ambito speculativo.
Si è visto come la musica sia, secondo Hegel, rivelazione dell'assoluto nella forma del sentimento. La musica può esprimere sia sentimenti particolari, soggettivi, sia il sentimento in sé; ha quindi una «doppia interiorità». Da qui nasce quella ambiguità nell'estetica musicale hegeliana per cui si può pensare che da essa prendano origine idealmente le due correnti opposte dell'estetica musicale dell'Ottocento: l'estetica del sentimento e il formalismo. Hegel non si stanca di ripetere che la musica deve esprimere l'interiorità, «che il suo elemento fisico è il suono», il mezzo attraverso cui esprime il suo contenuto spirituale, per cui può esprimere «tutti i sentimenti particolari, tutte le sfumature della gioia, della serenità spirituale, l'allegria e ogni capriccio, gli slanci dell'animo, cosi come può percorrere tutti i gradi della tristezza e dell'ansia. Le angosce, i crucci, i dolori, le aspirazioni, l'adorazione, la preghiera, diventano il dominio proprio dell'espressione musicale».
Fin qui sembra che la musica abbia infinite possibilità espressive e che il suono si adatti docilmente nella sua inerzia ai voleri del musicista. Ma le cose si complicano quando Hegel afferma che la musica, l'arte più espressiva, posta quasi al vertice della gerarchia, ha caratteristiche tali per cui si potrebbe da un certo punto di vista avvicinare all'architettura, l'arte più bassa nella sua scala gerarchica. Entrambe foggiano il loro materiale secondo le leggi della quantità e della misura, e non hanno nessun modello nel mondo naturale. Ma vi è una differenza fondamentale: «l'architettura si serve della massa fisica pesante, della sua spazialità inerte e delle sue forme esteriori. La musica invece si serve del suono, quest'elemento animato pieno di vita, che si affranca dall'estensione, che mostra differenze tanto qualitative che quantitative, e si precipita nella sua rapida corsa attraverso il tempo. Per cui le opere delle due arti appartengono a due sfere dello spirito completamente diverse. Mentre l'architettura eleva le sue colossali immagini che l'occhio contempla nelle loro forme simboliche e nella loro eterna immobilità, il mondo rapido e fuggitivo dei suoni penetra immediatamente, attraverso l'orecchio, nell'intimo dell'anima...». La differenza, potremmo dire, consiste nel fatto che l'architettura è un'arte spaziale mentre la musica è un'arte temporale, e che la spazialità è l'elemento più eterogeneo con la natura dell'anima umana, con la soggettività che è essenzialmente pura temporalità. C'è quindi un'affinità particolare tra il suono e l'interiorità dell'anima come un fatto originario, insito nella stessa natura del suono, da cui deriva alla musica il suo privilegio rispetto alle altre arti: «la potenza propria della musica è qualcosa di elementare; vorremmo dire che essa risiede nell'elemento stesso del suono nel quale si muovequest'arte». La musica sarebbe quindi l'unica arte in cui i non avviene nessuna separazione tra « i materiali esteriori e i l'idea, come avviene invece nella poesia in cui la rappresentazione si mostra indipendente dai suoni della parola». Potremmo dire forse senza tema di forzare il testo che nella 3 musica c'è un'identità tra la forma (i suoni nella loro temporalità) e il contenuto (lo spirito come sentimento). Nella musica tende a scomparire l'alterità tra soggetto e oggetto nel flusso della coscienza. «L'io è nel tempo e il tempo è l'essere del soggetto. Ma posto che il tempo e non lo spazio è l'elemento essenziale in cui il suono acquista esistenza e valore musicale, e che il tempo del suono è anche il tempo del soggetto, il suono penetra nell'io, lo afferra nella sua esistenza semplice, lo mette in movimento e lo trascina nel suo ritmo cadenzato... ». Ma il tempo della musica non è un fluire indeterminato; la musica ha essenzialmente il compito di ordinare il tempo, di «determinarlo, imporgli una misura, e ordinare questa successione secondo la legge di questa misura». Anche l'io non è una continuità indeterminata, «la durata senza fissità; esso non ha una vera e propria identità fino a che non raccolga i momenti sparsi della sua esistenza e operi un ritorno su se stesso».
Questo ritorno su se stesso, questo riconoscimento della propria identità profonda, l'io può operarlo grazie alla temporalità della musica che esercita una funzione unificatrice, regolatrice, catartica rispetto al tumulto disordinato della nostra vita sentimentale. Temporalità dunque tutta inferiore, che non ha nulla a che vedere con la regolarità dei fenomeni che si presentano nella natura, che la musica non prende come oggetto di imitazione; l'io si ritrova, si riconosce nella musica nella sua essenza semplice e più profonda, liberandosi « da quel mutamento e movimento proprio alle esistenze puramente esteriori».
Il compito della musica, dopo queste precisazioni, risulta non più tanto quello di esprimere le emozioni, i sentimenti particolari, ma piuttosto di rivelare all' anima la sua identità, «il puro sentimento di se stessa» ", grazie all'affinità della sua struttura con la struttura stessa dell'anima. La musica «deve elevare l'anima... al di sopra di se stessa, deve farla librare al di sopra del suo soggetto e creare una regione dove, libera da ogni affanno, possa rifugiarsi senza ostacoli nel puro sentimento di se stessa... Non si tratta più dello sviluppo di un sentimento particolare, dell' amore, del desiderio, della gioia...; è l'interiorità dell'anima che domina tutto, che si rasserena nel suo dolore come nella sua gioia, e che gioisce di se stessa».
Queste analisi sulla temporalità della musica costituiscono la parte di gran lunga più interessante del testo hegeliano, soprattutto per le possibilità di sviluppo futuro che presentano. Alcuni dei temi qui trattati con opportune modificazioni per il mutato orizzonte filosofìco, diventeranno propri della futura estetica formalistica. Il lato costruttivo, architettonico, della costruzione musicale, la sua affinità con la struttura stessa dell'essere, che rende la musica capace di esprimere non più i sentimenti individuali e particolari, ma piuttosto di simboleggiare la pura interiorità come tale, astratta dai suoi contenuti, tutti questi concetti sono presenti in qualche modo nell'estetica hegeliana, anche in contraddizione con la tesi prevalente per cui la musica è espressione di sentimenti. Tuttavia considerati nell'ambito dell'idealismo romantico confermano e rafforzano la concezione della musica come espressione privilegiata rispetto alle altre espressioni artistiche, rivelazione dell'assoluto nella forma del sentimento.
Questo spiraglio aperto verso una concezione formalistica della musica si concreterà ben presto in una possibilità effettiva, in una alternativa fondamentale che rappresenterà uno degli sbocchi più naturali del pensiero romantico. Il grande antagonista di Hegel, Schopenhauer, compirà ancora un altro passo in questa direzione, sviluppando organicamente alcuni spunti già contenuti nell'estetica hegeliana.

Rameau e Rousseau

Rameau

Rameau fu riconosciuto come il musicista dell'aristocrazia conservatrice, il portabandiera del gusto classico, il difensore dell'intera opera francese di fronte all'invadenza crescente del barbaro e popolare melodramma italiano. Ma la complessa personalità del musicista, parte in causa nelle polemiche correnti prima tra buffonisti e lullisti, e poi tra buffonìsti e antibuffonisti, non si esaurisce qui. La sua opera di teorico non si inserisce direttamente nelle dispute tra difensori del gusto italiano e francese e costituisce un po' un capitolo a parte nella storia dell'estetica musicale del Settecento. Rameau non è stato un rivoluzionario come musicista, e non intendeva esserlo nemmeno come filosofo e teorico della musica. Comunque il significato delle sue teorie sull'armonia va forse al di là delle sue intenzioni. La cultura del tempo aveva posto una rigida barriera tra arte e ragione, tra sentimento e verità, tra piacere dell'udito e imitazione razionale della natura; si trattava di due regni ben distinti, senza possibilità d'intesa tra l'uno e l'altro, all'infuori di un estrinseco avvicinamento. Rameau non aveva profonda cultura filosofica ed ancor meno letteraria e affrontò quindi il problema della musica da un altro punto di vista, cioè sotto il profilo fisico-matematico. Questo approccio scientifico alla musica ha illustri precedenti e presuppone l'inserimento in una ben determinata corrente di pensiero. Già Pitagora riteneva che la musica fosse il simbolo o espressione di un'armonia superiore che si esplicava per mezzo di proporzioni numeriche per cui la musica stessa poteva ridursi a numeri. Questa antichissima dottrina è rimasta viva nei secoli: nei trattati dei teorici medievali, nel rinascimento con il pensiero di Zarlino e poi nei trattati di Cartesio, Mersenne, Eulero ed infine Rameau. I filosofi del Seicento e del Settecento avevano considerato la musica come un'arte minore o addirittura come un «innocente lusso» per il suo carattere «capriccioso» e per la sua intrinseca mancanza di razionalità, ed è proprio contro costoro che Rameau quasi inconsapevolmente combatte la sua battaglia. Se la musica nei suoi fondamenti può essere ridotta a scienza, se può essere razionalizzata nei suoi principi, se può rivelare nella sua essenza un ordine naturale eterno e immutabile, non potrà più essere considerata solo un piacere dei sensi estranea al nostro intelletto e alla nostra razionalità. «Il mio fine è di restituire alla ragione i diritti che essa ha perduto nel campo musicale», afferma Rameau. Non interessa qui esaminare dettagliatamente tutte le sue teorie sull'armonia; sarà sufficiente mettere in luce lo spirito informatore di queste ricerche condotte con viva passione per tutta la vita. Il musicista francese, mosso in tutti i suoi studi da un'esigenza unitaria da uno spirito fortemente razionalista di stampo cartesiano, inizia a scrivere il suo primo trattato animato da una convinzione saldissima che non lo abbandonerà mai: l'armonia si fonda su di un principio naturale e originario e quindi razionale ed eterno. «La musica è una scienza che deve avere delle regole stabilite, queste regole devono derivare da un principio evidente, e questo principio non può rivelarsi senza l'aiuto della matematica». E noto che secondo Rameau questo principio è contenuto in qualsiasi corpo sonoro che vibrando produce l'accordo perfetto maggiore che è dato in natura nel quarto quinto e sesto armonico, e da cui deriverebbero tutti gli altri accordi possibili. Solo la triade minore non è riducibile alla triade maggiore e dal momento che nel suo sistema non devono esistere eccezioni - in natura non si danno eccezioni - Rameau si trae dall'imbarazzo con l'artificiosa spiegazione degli armonici inferiori; comunque solo il modo maggiore avrebbe pieno diritto di cittadinanza nel mondo dell'armonia e il modo minore sarebbe una varietà strana, imperfetta, organizzata e determinata a sua volta dal maggiore. Tutta la ricchezza della musica e le sue infinite possibilità espressive derivano da questo unico principio e si fondano sulla proprietà del « corps sonore » di contenere già in se stesso, nei suoi armonici, l'accordo perfetto. «Come è meraviglioso questo principio nella sua semplicità! - esclama con mistico entusiasmo Rameau nel suo Trattato dell'armonia. Tanti accordi, tante belle melodie, questa infinita varietà, queste espressioni cosi belle e cosi giuste, sentimenti resi con tanta evidenza, tutto deriva da due o tré intervalli, disposti per terze, il cui principio è contenuto in un solo suono! » Questa concezione rigidamente razionalistica cui Rameau è rimasto fedele in tutti i suoi numerosissimi scritti teorici e polemici e che nelle ultime opere si colora di venature mistiche e religiose, non esclude i diritti dell'orecchio come non esclude una relazione fra musica e sentimento. La musica ci piace, proviamo piacere ad udirla proprio perché essa esprime attraverso l'armonia il divino ordine universale, la natura stessa. Anche Rameau ci parla di imitazione della natura ma per natura intende un sistema di leggi matematiche e non i quadri idillici e pastorali cui si riferivano generalmente i filosofi del tempo. Rameau con la sua austera e rigorosa concezione della natura si ricollega non all'estetica contemporanea, ma piuttosto al meccanicismo proprio della concezione newtoniana del mondo. Un concetto fondamentale sta alla base del pensiero di Rameau: tra ragione e sentimento, tra intelletto e sensibilità, tra natura e legge matematica non c'è nessun contrasto, ma esiste di fatto e soprattutto di diritto un perfetto accordo: questi elementi devono quindi armonicamente cooperare. La musica non è sufficiente sentirla ma bisogna anche renderla intelligibile nelle leggi eterne che reggono la sua costruzione; tuttavia la ragione ha autorità soltanto nella misura in cui non contrasta con l'esperienza e l'udito. Rameau supera cosi le posizioni dei suoi contemporanei e si pone idealmente fuori dalle polemiche in cui suo malgrado si trova immerso. Infatti non sente alcuna esigenza di prendere posizione a favore della musica italiana o francese: la musica è anzitutto razionalità pura ed è quindi per sua natura il linguaggio più universale; «vi sono teste egualmente bene organizzate in tutte le nazioni dove regna la musica» ed è assurdo voler pretendere che «una nazione possa essere più favorita di un'altra». Le differenze tra una nazione e l'altra riguardano essenzialmente la melodia la quale ha a che fare soprattutto con il gusto. La priorità dell'armonia sulla melodia nel pensiero di Rameau è ideale e si fonda sul fatto che non si possono fornire «regole certe» per la melodia anche se quest'ultima non ha meno forza espressiva. L'armonia rappresenta il primum ideale da cui derivano tutte le altre qualità della musica, compreso il ritmo stesso.

Armonia e melodia diventeranno d'ora innanzi i cavalli di battaglia degli animatori delle nuove dispute sulla musica, simboli di gusti diversi, di poetiche diverse, dietro cui si trincereranno ancora una volta i difensori della tradizione classica francese da una parte e gli amatori del «bel canto» italiano dall'altra. Rameau fu preso nel giro di queste polemiche a cui non era interessato, e a cui avrebbe forse voluto rimanere estraneo anche per il suo carattere schivo e taciturno. La sua opera di teorico non fu capita dai suoi contemporanei e Rameau fu accusato di essere un arido intellettualista, di voler della musica una scienza, negando il valore della melodia. In realtà nessuno come Rameau nel suo tempo aveva saputo mettere in luce il potere espressivo del linguaggio musicale e la sua autonomia di fronte agli altri linguaggi artistici. Privilegiare l'armonia significava dare una priorità ai valori più essenziali della musica avviandosi ad un riconoscimento della musica strumentale o pura come l'hanno poi chiamata i romantici. Rameau anche come musicista ha mostrato di possedere una vena più felice per la musica strumentale che per quella vocale in cui poco si curava dei valori letterari del testo. Un suo biografo, il Decroix, riferisce che Rameau si sarebbe vantato di mettere in musica anche la «Gazette de Hollande», tanto era grande la sua indifferenza per il testo da musicare, puro pretesto per la sua costruzione musicale il cui intento descrittivo non assume mai un carattere impressionistico ma viene sempre contenuto in ben definiti schemi architettonici. Rameau pur partecipando della mentalità illuminista, rimane una figura isolata nel Settecento: la sua vita lo dimostra. Dopo gli anni del successo per le sue opere, dopo la prima ondata di interesse suscitato dai suoi trattati teorici, Rameau si trovò nella vecchiaia solo contro tutti. Dopo il significativo rifiuto dell'incarico di stendere le voci musicali dell'Enciclopedia, iniziano nel 1754 i dissensi con gli enciclopedisti e in particolare con Rousseau e D'Alembert che si protrarranno con fitto scambio di pamphlets polemici fino alla morte. Rameau e gli enciclopedisti parlano linguaggi diversi, non si possono comprendere, e si limitano cosi' a lanciarsi reciproche accuse d'incompetenza. Rameau isolato e incompreso nel suo secolo ha offerto tuttavia un'alternativa originale alla concezione illuministica della musica come innocente lusso e rimarrà un importante punto di riferimento per il pensiero romantico, preannunciando una nuova concezione della musica come linguaggio privilegiato, espressiva non solo delle emozioni e sentimenti individuali, ma della divina e razionale unità del mondo.




 Rousseau

Rousseau è indubbiamente la personalità di maggior rilievo, il teorico più accreditato dei buffonisti; fu forse anche per la sua particolare competenza che gli fu affidata la stesura del nucleo più importante di voci musicali dell'Enciclopedia che più tardi formarono il corpo del suo Dictionnaire de musique. Nei gusti musicali Rousseau non mostra una grande originalità ne si discosta granchè dai suoi contemporanei: ama l'opera italiana per la sua melodiosità, semplicità spontaneità, freschezza, naturalezza; ama il canto come effusione del cuore; aborre la musica francese per il suo carattere artificioso, le sue astruserie armoniche, la sua mancanza di immediatezza e di naturalezza; aborre la musica strumentale, la polifonia, il contrappunto, in quanto insignificanti, irrazionali e contrari alla natura.La musica francese è diventata sinonimo di artifìcio intellettualistico e quella italiana di spontaneità melodica. L'originalità di Rousseau consiste nell'aver saputo sviluppare adeguatamente il concetto di musica come linguaggio dei sentimenti e di aver elaborato una teoria sull'origine del linguaggio che giustificasse e fondasse tale concetto. Per la prima volta la polemica sulla musica italiana e francese non è più solo una questione di gusto,di preferenza personale, ma trova nel pensiero di rousseau una giustificazione teorica e filosofica. Rousseau, si è già detto, non ama la musica strumentale e concepisce la musica solamente come canto; ma non perché la consideri come piacevole ornamento della poesia e prediliga i valori concettuali e razionali in essa espressi. Al contrario, Rousseau predilige il canto perché in esso la musica ritrova la sua natura originaria. In un mitico passato, quando l'uomo era allo stato di natura, musica e parola costituivano un nesso inscindibile e l'uomo poteva esprimere nel modo più completo le sue passioni e i suoi sentimenti. In altre parole all'origine le lingue erano musicalmente accentuate e fu un triste effetto della civiltà se oggi ritroviamo da una parte le lingue private della loro melodiosità originaria e ormai atte solo ad esprimere dei ragionamenti; dall'altra i suoni musicali che un tempo costituivano l'accento del linguaggio e ne rappresentavano il lievito vitale, isolati ed impoveriti nella loro portata espressiva. Il canto melodico ricostituisce questa unità infatti in origine «non ci fu altra musica che la melodia, ne altra melodia che il suono modulato della parola; gli accenti formavano il canto e si parlava sia per mezzo dei suoni che del ritmo che delle articolazioni e delle voci» (Essai sur l'origine des langues, XII). Tuttavia questa riconciliazione, questa ricostituzione dell'unità spezzata può avvenire solamente se il linguaggio non ha perduto completamente la sua originaria musicalità. Le lingue nordiche (francese, inglese, tedesco) sono precise, esatte, dure e articolate, parlano alla ragione ma non al cuore e si prestano ad essere scritte e lette. Le lingue orientali e meridionali (arabo, persiano e soprattutto l'italiano) sono molli, musicali, sonore e si prestano ad essere parlate e udite; L'unione di musica e poesia per Rousseau significa un potenziamento espressivo dell'una e dell'altra, significa ritrovare quell'arte che, per la sua espressività, può più compiutamente realizzare l'imitazione delle passioni e dei sentimenti. Se la musica deve ritrovare la sua condizione originaria come accento delle parole, la sua essenza sarà la successione temporale, cioè la melodia. L'armonia, ossia la contemporaneità dei suoni rappresenta una deviazione, una corruzione, un atto arbitrario, «un'invenzione gotica e barbara» che corrompe la vera essenza della musica. Rousseau, senza troppo sottilizzare, identifica armonia, polifonia, contrappunto, fuga, ecc. ponendo tutto nello stesso calderone, e non si stanca di ripetere che si tratta di un'invenzione, di una cattiva invenzione, di un fatto storico e non naturale, frutto quindi di una convenzione sociale. L'armonia non offre che una «bellezza convenzionale» che non ci toccherà però mai nel profondo del cuore; essa ci procurerà un diletto superficiale e passeggero ma non susciterà mai alcuna passione. L'armonia infine, e questa è la sua deficienza più grave, non imita la natura, la quale «ispira dei canti e non degli accordi, detta melodie non armonie». Essa è inerte perché non ha nulla in comune con le nostre passioni; al più può assolvere ad una funzione secondaria se concorre a precisare e mettere in evidenza la linea melodica. Anche Rousseau si serve dunque del concetto di imitazione della natura come strumento critico e categoria estetica ma lo usa secondo un nuovo significato. Natura è sinonimo di passione, sentimento, immediatezza ed è nettamente e polemicamente contrapposta a ragione. Il concetto di imitazione è usato in modo più ambiguo. La melodia, afferma Rousseau imita «le inflessioni della voce, esprime i lamenti, i gridi di dolore o di gioia, le minacce, i gemiti... Essa non imita solamente, essa parla; e il suo linguaggio inarticolato ma vivo, ardente, appassionato, possiede cento volte più di energia della parola stessa. Ecco donde nasce la forza dell'imitazione musicale, ecco donde attinge il potere che essa esercita sui cuori sensibili» (Essai sur l'origine des langues, XII). La melodia imita le passioni ma indirettamente; le imita in virtù di un'affinità originaria con la forma in cui si esprimono i nostri sentimenti; se imita oggetti del mondo naturale essa imita il sentimento che essi susciterebbero «nel cuore di chi li contempla». La melodia «non rappresenta direttamente le cose ma eccita nell'anima gli stessi sentimenti che si prova vedendo le stesse cose». La musica sarebbe allora un'arte di espressione e di imitazione; di qui l'ambiguità di questi due termini, usati a volte come sinonimi a volte quasi in opposizione. Rimane sempre il dubbio se secondo Rousseau la musica esprime i sentimenti o imiti l'espressione dei sentimenti. Questa ambiguità tuttavia è significativa: ormai la concezione della musica si è profondamente trasformata e il concetto di imitazione della natura viene ancora usato ma solo per inerzia; esso non si presta più a spiegare e giustificare le nuove idee che si stanno ormai sempre più largamente affermando. Se si confronta il pensiero di Rameau con quello di Rousseau è facile accorgersi che ci si trova di fronte a due diversi, anzi opposti tentativi di rivalutazione della musica. Rameau ha cercato il fondamento eterno, naturale della musica e l'ha individuato nel principio unitario che sta alla base dell'armonia; la musica incarnando con questo principio lo stesso verbo divino ha assunto il ruolo di arte privilegiata ed assoluta. Rousseau, lontano nello spirito da questo pitagorismo del musicista francese, ha rivalutato la musica rivalutando il sentimento e considerandola come il linguaggio che parla più da vicino al cuore dell'uomo. Secondo Rameau la musica rivela la ragione suprema che è una, uguale in tutti i tempi e per tutti i popoli e quindi universale; secondo Rousseau la musica esprime ed imita le infinite varietà e sfumature del cuore umano. Il carattere della melodia varia da popolo a popolo, da secolo a secolo. Per Rameau la musica è dotata di una comprensibilità universale perché tutti gli uomini sono partecipi della ragione; per Rousseau la comprensione della musica è un fatto storico e culturale: «ognuno - afferma - è toccato solamente dagli accenti che gli sono familiari», e la melodia varia a seconda delle lingue di ogni popolo. La regola ferrea di carattere matematico, che secondo Rameau fonda l'armonia e stabilisce la sua universalità e naturalità, per Rousseau rappresenta un artificio intellettualistico che allontana la musica dall'arte. La grande musica, la melodia, è frutto del genio, e il genio non osserva nessuna regola: il genio come la natura è sinonimo di libertà e di vitalità.